venerdì 19 giugno 2020

capire il MES


Un intervento del Prof. Righetti Giuseppe economista sul MES buona lettura.

CAPIRE IL MES o ESM  detto anche Fondo salva-Stati


Il Mes - società di diritto lussemburghese

Il MES è una Société Anonyme di diritto lussemburghese. E’ una società commerciale privata i cui azionisti noti sono 19 Stati membri dell’eurozona, e per il resto il MES è coperto dal segreto professionale. 

Tutti i suoi atti sono segreti e inviolabili. 

Le sue importazioni sono esenti di dazi. 

Il suo personale esentasse.

Il suo personale non può mai essere né indagato né citato in giustizia, praticamente immune e impunito per tutte le sue azioni nell’ambito delle sue funzioni, che riguardano essenzialmente operazioni finanziarie speculative e creazione monetaria. 

Tutti i beni mobili e immobili che compra, in qualsiasi posto si trovino, non possono essere né sequestrati né pignorati né espropriati: immunità da qualsiasi forma di giurisdizione. Al di sopra di qualsiasi legge. 

Secondo la clausola 16  dello Statuto pubblicato sul sito del MES, non esiste nessun caso di conflitto di interessi neanche quando uno, o più amministratori, del MES avesse un interesse o una carica di amministratore, socio, funzionario o impiegato in altra società controparte con cui il MES stipuli contratti o effettui transazioni, conduca affari, ecc. 


Chi controlla le decisioni del Mes?

Due organi principali: il consiglio dei Governatori e il consiglio degli Amministratori. Ciascuno è composto da un rappresentante di ogni Paese membro. Nel caso del Consiglio dei governatori è obbligatorio che si tratti del Ministro dell’Economia e delle Finanze. 

Le decisioni di tipo esecutivo sono assunte dal consiglio dei Governatori con voto unanime, se in gioco c’è l’erogazione di prestiti finanziari. In casi di eccezionale urgenza tali da minare “la sostenibilità finanziaria della Zona euro”, è sufficiente una maggioranza dell’85% dei voti.


Quanto ha pagato l’Italia per costituire il Mes finora?

L’Italia ha pagato come capitale 14,33 miliardi di euro (17,79% del capitale del Mes). 

Contributo al MES       1. Germania    27,0%        6. Belgio    3,5%

2. Francia    20,2%        7. Grecia    2,8%

3. Italia    17,8%        8. Austria    2,8%

4. Spagna    11,8%        9. Portogallo    2,5%

5. Paesi Bassi      5,7%        Gli altri 10    5,9%

 

Nell’azionariato del MES, i due paesi forti Germania e Francia, formano una maggioranza del 47% a cui non sarebbe possibile opporre nessun veto da parte degli altri Paesi, ad esempio Italia, Spagna, Grecia (30%) ma neanche con tutti gli altri Stati membri messi insieme, poiché l’idea che Olanda, Belgio e Austria si possano mettere con i PIIGS (i 4 Paesi dell'Europa meridionale: Portogallo, Italia, Grecia e Spagna, oltre all’Irlanda) è del tutto utopistica.

Nell’esercizio delle sue attività il Mes produce anche profitti che possono essere, a discrezione del board, distribuiti agli Stati. L’anno scorso il Mes ha realizzato utili per 284 milioni di euro; virtualmente all’Italia spetterebbero 5,06 milioni, pari al 1,98% del capitale versato.


A quali condizioni il Mes presta denaro agli Stati?

Esistono due programmi di aiuto finanziario: uno precauzionale e uno rafforzato. 

Nel precauzionale il prestito viene concesso senza la necessità di negoziare un Memorandum d’intesa, a patto che il Paese richiedente rispetti una serie di parametri economici.

Alcuni di questi sono, in particolare: 

a) rapporto deficit/Pil entro il 3%; 

b) rapporto debito/Pil al 60% o riduzione in misura pari a 1/20 annuo della parte eccedente; 

c) assenza di vulnerabilità nel settore finanziario “tali da mettere a rischio la stabilità finanziaria dei membri del Mes”; 

d) assenza di squilibri sotto l’osservazione dell’Ue.


Programma rafforzato. Qualora le citate condizioni non fossero presenti da parte dello stato richiedente quest’ultimo dovrà concordare con il Mes un Memorandum d’intesa e “impegnarsi a rispettare la condizionalità definita per esso” e “ad adottare misure correttive per evitare futuri problemi relativi all’accesso al finanziamento del mercato”.


“Questo meccanismo non regge…non regge”, terminava D’Alema il suo intervento, parlando del Mes. “Le faccio un esempio per capire cosa succede”, spiegava. Moneta unica, ma differenti livelli di competitività e forza economica: in Germania il costo del denaro è bassissimo, l’interesse è negativo. Le banche tedesche raccolgono denaro dai risparmiatori tedeschi, comprano i titoli della Grecia, che paga il 15% di interessi perché è un paese a rischio, e guadagnano una montagna di soldi. Cosa accade?”.

“Da un paese povero come la Grecia - proseguiva D’Alema - enormi risorse si trasferiscono verso un Paese ricco come la Germania attraverso la differenza dei tassi d’interesse. Il paese povero si impoverisce sempre di più, quello ricco si arricchisce sempre di più”. Quando il Paese povero non è più in grado di pagare i debiti e va in default  arrivano gli aiuti europei. Ma i 250 miliardi che abbiamo dato alla Grecia non sono serviti ai cittadini greci per le pensioni, “ma per pagare gli interessi alle banche tedesche, francesi e molto parzialmente italiane”. Di questi soldi i greci non ne sentono neanche l’odore. Questo meccanismo non può reggere a lungo”. E lo diceva lui!


Già negli ultimi mesi del governo Berlusconi, Germania e Francia avevano chiesto agli altri Paesi Ue di contribuire al salvataggio delle banche tedesche e francesi con i soldi del Fondo Salva Stati, e di farlo in base alle quote nazionali di partecipazione al Fondo. Berlusconi e Tremonti, però, si erano rifiutati di rispettare tale ripartizione, ritenendo più corretto basarsi sulla percentuale di rischio bancario, visto che a mettersi nei guai erano state le grandi banche private tedesche e francesi, esposte per 200 miliardi in Grecia, a fronte di appena 20 miliardi delle banche italiane. E fu proprio per questa opposizione all'ennesimo diktat franco-tedesco che il governo Berlusconi finì nel tritacarne dello spread, e buttato fuori gioco.


Mario Monti, messo in campo dai poteri forti europei con la connivenza di Giorgio Napolitano, accettò invece, senza la benché minima discussione, il cofinanziamento del Fondo Salva Banche in base al pil nazionale, e versò più di 60 miliardi di euro, prelevati a suon di stangate fiscali dalle tasche dei contribuenti italiani. 


È POSSIBILE UN MES SENZA CONDIZIONALITÀ?


Non esiste un Mes “leggero”, senza l’imposizione di particolari condizioni. La bozza di accordo per il Coronavirus prevede che le linee di credito, potranno arrivare al 2% del Pil di ciascun Stato membro, da destinare esclusivamente al finanziamento delle spese sanitarie legate all’epidemia di coronavirus. Chi decide quali sono? Non certo il governo, dato che i termini del prestito dovranno essere concordati con il direttivo del Mes stesso.


I problemi nascono dopo. L’assenza di condizionalità vale solo fino al termine dell’emergen-za. Finito il periodo critico, per chi avrà attinto ai fondi del Mes e non avrà restituito anche solo parte di quanto ricevuto, le condizionalità ritorneranno. E potranno essere aggiunte, integrate, modificate in qualsiasi momento anche senza l’approvazione del debitore (art. 7 del regolamento 472/2013: possibilità di modificare in itinere i paletti del memorandum siglato).


E le conseguenze sarebbero drammatiche: dai fallimenti delle banche meno solide fino alla svendita a prezzi stracciati di quelle migliori, prede delle grandi banche europee e mondiali. In testa quelle tedesche, che da tempo hanno messo nel mirino le banche italiane per poi appropriarsi del ricco risparmio (degli italiani) custodito, un asset di 6.000 miliardi che fa gola soprattutto a istituti, come Deutsche Bank e Commerzbank, che hanno in pancia titoli tossici che superano di molte volte il pil tedesco, perciò traballano, e avrebbero tutto da guadagnare da una razzia in Italia.


Il Mes è stato pensato per nazioni con difficoltà di accesso ai mercati. Una condizione in cui, attualmente, l’Italia non si trova: alle ultime aste la domanda di Bot e Btp è stata sempre sensibilmente superiore all’offerta. 


LA BEFFA. Non potendo per statuto investire in titoli con rating inferiore ad AA, il Mes non può comprare i titoli italiani. Il fondo, anche con i nostri soldi, compra Bund tedeschi e titoli di stato francesi.


IL GOVERNO CI HA LEGATI ALL’EURO. OSSIA A UN CADAVERE.

Spunti da Maurizio Blondet 10 Maggio 2020 


Europa meridionale senza turisti

Se la stagione delle vacanze viene annullata quest’estate,  si apre  lo scenario peggiore per i paesi dell’Europa meridionale. La quota del prodotto interno lordo (PIL) del settore turistico è del 9,5% in Francia, del 14,6% in Spagna, del 13,2% in Italia e persino del 30,9% in Grecia (2018). Le conseguenze di un’estate senza turisti saranno innumerevoli fallimenti, alti tassi di disoccupazione, calo delle entrate fiscali, ribaltamento delle banche, esplosione di debiti e crediti.


L’Italia non può più deprezzarsi

Nei trent’anni di prima dell’euro, l’Italia ha continuamente svalutato la sua valuta rispetto al marco tedesco (oltre l’80%). Con l’introduzione dell’euro non è stato più possibile.


L’industria automobilistica italiana era già fallita  prima della crisi del Covid19 

La produzione di auto in Italia è già diminuita del 19,5% nel 2019 rispetto all’anno precedente. Il 2020 minaccia un nuovo minimo, a un livello simile alla fine degli anni ’50. Privato delle sue regolari svalutazioni esterne con la lira, il valore aggiunto della produzione industriale si sta erodendo sempre più profondamente, dal momento che l’Italia non può più ristabilire la sua  competitività.


Il contribuente in Germania dissanguato

L’Europa stava già ristagnando nel 2019. Quindi la paralisi dell’economia  ha colpito il continente in recessione. Per combattere questa recessione, vengono prese misure che non sono né sostenibili né sensate. 

Il gran finale per i contribuenti in Germania deve ancora arrivare. Si prevedono drastici aumenti delle tasse e prelievi immobiliari per finanziare i programmi del governo. La domanda sorge spontanea: per quanto tempo i contribuenti in Germania continueranno a farlo?


DEXIT dalla zona euro

Ciò che è considerato impensabile per molti deve essere considerato: il Dexit dell’Eurozona. Occorre preparare un piano di “salvataggio” dell’Italia. Il famoso piano B di cui si sente parlare. A lungo termine, tuttavia, questo passaggio sarà meno costoso di un convulso aggrapparsi all’esperimento in valuta euro, ormai  condannato. Più i politici tedeschi restano fedeli all’euro, maggiore sarà la massimizzazione del danno economico.


Abbiamo bisogno dell’Europa come unione economica, ma non come unione monetaria. L’euro, che dovrebbe unire l’Europa, invece divide e separa il continente. 


Migliaia di tedeschi  sono usciti per le strade ed hanno sfidato le restrizioni da pandemia,   chiedendo che finiscano, e  si sono scontrati con la polizia. A Francoforte, a Stoccarda, a Monaco, a Berlino davanti al  Reichstag  - che la Merkel ha appena  reso un fortilizio facendo disporre  parallelepipedi  di  cemento pesanti tonnellate ed alti come un uomo: previdente, sa che  presto milioni di disoccupati, la crisi sociale esplode anche in Germania.


L’idea del Dexit potrebbe diventare maggioritaria.  Ma c’è l’europeismo acritico del governo in carica, e la sua speranza che la Germania dia il via libera a contributi e prestiti. Affidereste 200 miliardi a un governo integralmente di persone prive di cultura industriale, adoratrici della decrescita, culturalmente incapaci di immaginare altro uso che la loro dispersione a pioggia alle loro clientele, con l’immane corruzione e  spreco  in  cui tutto si risolverebbe?


Un antico metodo di  esecuzione capitale, usato in  paesi barbari, consisté nel legare il condannato ad un cadavere. Vogliono legare il popolo italiano al cadavere dell’euro in putrefazione. Marciremo insieme, fra l’obbedienza del popolo italiano contento di andare in giro in museruola  - scusate in mascherina - per paura vilissima  una “pandemia”  in gran parte immaginaria.


“Se pensi che il cambiamento in meglio sia impossibile, non arriverà mai.”


Infrastrutture, paradiso degli sprechi 

In Italia, (dati del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti), sono 647 le opere pubbliche iniziate, finanziate e mai concluse. 

Colpiti dai ritardi, sono in particolare, gli edifici scolastici. Ma anche strade, ponti, residenze per anziani, palazzetti dello sport, … Un capitolo a parte meritano gli impianti di depurazione, che aspettano da anni di vedere la luce. Da 18 anni l’Italia non rispetta le leggi europee in materia di adeguamento dei sistemi idrici, tanto che nel 2018 la Corte di Giustizia del Lussemburgo ci ha condannati a pagare una multa di 25 milioni di euro, più 30 milioni per ogni semestre di ritardo, fino alla completa messa a norma. 

La Sicilia detiene il triste record di infrastrutture incompiute: sono ben 162, la maggior parte non ha raggiunto neanche il 50% del completamento. In Calabria troviamo la diga di Gimigliano, la diga più grande d’ Europa: dal 1982, anno del primo finanziamento a oggi, nonostante i 47 milioni spesi, è stata completata soltanto per il 16%. È Roma, però, la capitale dello spreco, dove tra le 45 opere incompiute a livello regionale troviamo la celebre ‘Città dello sport’ a Tor Vergata, nata per ospitare i mondiali di nuoto del 2009 e progettata da Santiago Calatrava. Lo stato di avanzamento dei lavori iniziati nel 2005 è fermo al 16%; la struttura non ha mai visto la luce, ma è già costata ai contribuenti ben 134 milioni di euro.

Ma tutte le regioni d’Italia, da Sud a Nord, chi più chi meno, sono toccate da questo “fenomeno”. E ci lamentiamo con i Paesi del Nord che non si fidano di noi.


Ci accaniamo contro i Paesi del Nord perché non vogliono concederci prestiti senza condizionalità!  

TU faresti prestiti a chi li usa in questo modo?



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